Focus sulla COP30 con Marco Frey e Alberto Pirni. Il contributo della Scuola Superiore Sant’Anna alla transizione energetica e il bilancio di una conferenza che potrebbe segnare una svolta nella gestione globale dell’emergenza climatica
Tra trattative in corso per trovare un accordo sulla decarbonizzazione e forti spinte dal basso per rispettare gli Accordi di Parigi, la COP 30 potrebbe rappresentare una svolta nella gestione globale dell’emergenza climatica. Abbiamo chiesto a chi ha rappresentato la Scuola Superiore Sant’Anna alla Conferenza delle Nazioni Unite un bilancio sull’esperienza: Marco Frey, coordinatore del Centro di Ricerca interdisciplinare sulla Sostenibilità e il Clima, e Alberto Pirni, professore associato presso l’Istituto Dirpolis.
Intervista al prof. Marco Frey
Anche anche quest’anno la Scuola Superiore Sant’Anna ha partecipato alla Conferenza della Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Qual è stato l’apporto della nostra Università?
“L’apporto della Scuola ha riguardato in generale il contributo di un’istituzione di ricerca ai processi conoscitivi e di coinvolgimento dei diversi attori nella sfida del clima. In un side event dell’UNFCC sulla governance multilivello, la Scuola ha portato la propria esperienza nel progetto di ricerca Ammirare in cui sono coinvolte più regioni e comuni italiani e francesi nell’applicazione di soluzioni ispirate alla natura per migliorare la resilienza e l’adattamento delle coste agli eventi connessi con il clima. Poi in un evento organizzato insieme all’Università di Firenze nel Padiglione Italia, è stato valorizzato l’approccio community-based alla gestione della transizione energetica: in questo caso sono i cittadini che divengono prosumer. Un terzo intervento nel Padiglione del Global Compact ha riguardato il ruolo delle imprese nella definizione di transition plans per il cambiamento climatico. Un quarto il ruolo della formazione e della ricerca sui temi della sostenibilità dello sport, presso l’Higher Education for Climate Action Pavilion”.
Le parole di Papa Leone XIV sono più che un monito: ‘non è l'Accordo di Parigi che sta fallendo, siamo noi che stiamo fallendo nella risposta’. Siamo ancora in tempo per rispettare gli Accordi di Parigi?
“Sicuramente siamo in grave ritardo, anche se qualche segnale positivo per una inversione di rotta comincia a manifestarsi. Il problema principale è la carenza di una visione comune, quella multilateralità che aveva consentito di far decollare l’accordo di Parigi. A Belem la presenza attiva delle popolazioni indigene ha manifestato la spinta dal basso che dovrebbe aiutare i governi a ritrovare una visione strategica unitaria. Il meccanismo di Parigi negli NDC (i contributi definiti a livello nazionale per la lotta al cambiamento climatico) è stato arricchito dal basso con i contributi locali, compresi quelli definiti dalle comunità indigene. In questa prospettiva è fondamentale aggregare il contributo di tutti, comprese le imprese, in quella spinta multi livello e multi attore che accennavamo in precedenza".
Cosa può fare un’istituzione pubblica come la nostra Università per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’emergenza climatica?
“In questa prospettiva si pone anche il possibile contributo della Scuola, che con la Costituzione di un Centro interdisciplinare sulla Sostenibilità e il Clima ha voluto dare piena consistenza al proprio impegno in questo ambito. Siamo così chiamati a sviluppare e diffondere la conoscenza necessaria per trovare soluzioni sistemiche e innovative alla sfida del cambiamento climatico. Lo facciamo con i nostri progetti di ricerca, che alle COP trovano sempre un’udienza interessata e disponibile alla collaborazione. È infatti attraverso le partnership che abbiamo con le istituzioni, con le imprese e con gli altri enti di ricerca che siamo in grado di aumentare l’efficacia e l’impatto della nostra azione”.
Intervista al prof. Alberto Pirni
Quali sono stati i temi al centro dei suoi interventi alla COP 30?
“In questa edizione della COP ho avuto la generosa possibilità di realizzare tre interventi. Il primo intervento si è svolto nel contesto del Workshop organizzato dalla Scuola, in collaborazione con le Università di Firenze e Perugia, con il titolo “Stakeholder Engagement and Community-based Approaches in Energy Transition Processes and Initiatives”, durante il quale ho proposto un inquadramento teorico della cosiddetta energy equity, con particolare riferimento a un profilo combinato di giustizia procedurale, distributiva e intergenerazionale, nel quadro di una ricerca già avviata presso l’Area di Ethics.
Nel secondo intervento, in occasione del workshop “Scientific Approaches and Innovative Management in Water Sector for Sustainability and Adaptation to Climate Change” organizzato dal nostro partner “Acqua Novara”, ho proseguito nella presentazione di alcuni profili progettuali dedicati all’agenda di Water Ethics, sottolineando gli aspetti interdisciplinari relativi alla gestione efficace e consapevole della risorsa idrica.
Nel terzo intervento, organizzato da Save the Children con il titolo: “Climate Justice for a More Equal and Sustainable Future: A Commitment to the Rights of Children, Youth and Women at COP30”, ho prospettato l’esigenza di una estesa comprensione della giustizia tra le generazioni, immaginando il ruolo delle più giovani come co-attivo in un comune sforzo di adeguatezza alle sfide etico-climatiche, che coinvolgono Nord e Sud del mondo e tutte le generazioni umane viventi”.
La sua area di ricerca si occupa delle questioni etiche legate alla crisi climatica e alla transizione ecologica. Da questo punto di vista, a livello politico cosa manca?
“A livello politico continua ad esser attivo un importante ostacolo, sostanzialmente “bifronte”: quello che nella nostra ricerca chiamiamo “motivational gap” e “short-termism”. In sintesi: perché dovrei fare quanto so esser necessario, comprendendo che avrò costi e rischi – morali e politici, di benessere personale e consenso politico – molto alti da gestire? Le possibilità per andare oltre queste difficoltà ci sono, risiedono nel dialogo costante tra interlocutori, e in un patto sempre da rinnovarsi, con obiettivi chiari, di verifica intermedia a breve termine, da non posporre”.
È stata un’edizione dove sono emersi molti contrasti nella gestione globale dell’emergenza climatica. Per alcuni è stata la ‘Cop della verità’, per altri la ‘Cop della contraddizioni’. Può fornirci la sua opinione?
“È presto per tracciare un bilancio, ben sapendo che l’ultima settimana di COP può sortire risultati importanti. Nei giorni scorsi ho assistito ad una conferenza stampa con il Vice-Presidente e il Ministro della sostenibilità e cambiamento climatico del Brasile. Lo Stato ospitante avverte chiaramente l’esigenza di non rendere questa un’occasione perduta – e in settimana anche il Presidente Lula tornerà alla COP. C’è molta volontà di rendere operativi gli obiettivi già condivisi, ad esempio tramite acceleration hub specifici e realizzando una corsia preferenziale nelle negoziazioni su poche ma fondamentali priorità specifiche - trasparenza, restare sottosoglia 1,5°, continuità nella road map di riduzione rivolta alle imprese, consolidamento programmi di climate finance. Attendiamo l’esito di questo processo, senza illusioni e, soprattutto, senza pregiudizi”.